È capitato e capita a tutti talvolta di venire trattati male: magari un incontro sporadico con una persona scortese per strada, in un negozio o in un bar, o magari all’interno di una relazione personale o professionale da cui, volenti o nolenti, non ci possiamo facilmente sganciare: un professore, per esempio, che non ci valorizza e che ci sminuisce di fronte alla classe, o uno studente che mentre parliamo disturba e interrompe, un collega che non ci saluta mai e che è sempre di cattivo umore, una persona del nostro team che non rispetta le scadenze che gli diamo o magari proprio il nostro capo, che si approfitta in qualche modo di una posizione di potere per sfogare una tensione accumulata altrove.
Ancora, i genitori che rimproverano ingiustamente, i figli che rispondono male senza motivo, il partner con cui viviamo o il nostro ex con il quale condividiamo un figlio: qualunque persona e qualunque relazione in cui siamo immersi può comportare una dose maggiore o minore di tensione nelle nostre giornate.
Gli esempi riportati sono molto diversi tra loro e andrebbero approfonditi singolarmente: è diverso, infatti, se a trattarci male è il nostro capo oppure un collega, ed è diverso se a risponderci in maniera sbagliata è un passante, un genitore o la persona con cui condividiamo la vita.
Infatti, il ruolo che assumiamo nelle relazioni condiziona da un lato quanto possiamo sentirci liberi di esprimerci, di ignorare o di ribellarci a qualcuno, e dall’altro le emozioni e i sentimenti che in qualche modo si mescolano al nostro interno.
Parlando in generale, però, ci sono alcuni ambiti su cui possiamo agire quando qualcuno ci tratta male, e sono principalmente tre.
Il primo è proprio il comportamento dell’altra persona: quando questa ci tratta male, avere quella reazione che la disincentivi dal continuare a farlo. Non si tratta di provocare un’escalation per la quale più male tu mi tratti più male tratterò io te, perché il più delle volte questo non risolve il conflitto ma anzi lo fa degenerare.
Si tratta invece e soprattutto di avere un comportamento spiazzante, usando magari l’ironia o l’indifferenza, la meta-comunicazione, facendo quindi in modo che l’altro, con il suo comportamento, non realizzi l’effetto che auspica, e dunque non abbia più motivo di proseguire nel suo comportamento scorretto.
Il secondo ambito è quello della relazione: possiamo infatti cercare una maggiore vicinanza, aprire quel dialogo che può magari illuminare l’altro rispetto al fatto che si sta comportando in un modo sbagliato, e quindi provare a parlargli in maniera diretta, chiedere spiegazioni e ascoltare, dare a nostra volta informazioni sui nostri stati d’animo. Se questo non funziona, possiamo in qualche modo cercare di ridurre la frequenza delle interazioni, o quando possibile interromperle del tutto, e ancora ristabilire e riconfinare il rapporto all’interno di un flusso più rigido, in cui l’altro abbia un minore spazio e una minore influenza.
Il terzo, e forse più importante per quanto difficile, è agire non all’esterno ma all’interno, su di noi, sulle nostre emozioni e sui nostri sentimenti: non tanto, dunque, cercare di lavorare sull’input che riceviamo, ma su come al nostro interno lo processiamo. Vedere la scortesia o l’aggressività degli altri non come un problema ma come un contesto, osservare cosa provoca in noi e capire perché, quali siano le leve interne che va a colpire con così tanta forza e precisione e fare su queste, al nostro interno, un grande lavoro e allenamento.
In qualche modo, infatti, anche una brutta esperienza può essere una grande opportunità per diventare più forti, più pazienti e più sicuri di noi.
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È incredibile quanto potenziale di scoperta di sè e degli altri ci sia nel terzo punto, spesso ci percepiamo trattati male anche da persone che ci amano, è chiaro in questi casi che c`è qualcosa da apprendere che ci sta sfuggendo completamente e quella profonda sensazione di disagio che proviamo è probabilmente lì per insegnarci quel qualcosa, ma più spesso tendiamo a reagire per non sentire