Sbagliando si impara? Non sempre!
Gli americani dicono “sometimes you win, sometimes you learn”, noi italiani diciamo “sbagliando si impara”: in entrambi i casi la narrazione contemporanea ci propone l’idea per la quale fallire, sbagliare, sia qualcosa di positivo perché sottesa a questa esperienza c’è l’opportunità di imparare.
Ma davvero dal fallimento si impara? Davvero tutti noi siamo capaci di imparare dai nostri sbagli e di poi non commetterli più, passando quindi – come questa narrazione appunto propone – dal fallimento a una crescita personale per arrivare infine al successo, alla vittoria?
In questo concetto c’è sicuramente del buono: condannare il fallimento e l’errore è infatti qualcosa che non serve a niente e a nessuno, una mentalità giudicante che finirebbe per limitarci nel provare a cambiare qualcosa, o a costruire un progetto nel quale crediamo. Quando vogliamo intraprendere, nella vita o nel business, la paura di fallire, se eccessiva e se non governata, ci è infatti nemica.
Ma, altrettanto, in questo concetto ritengo ci sia qualcosa di meno buono: perché se diamo per scontato che è sufficiente sbagliare e fallire per imparare qualcosa, escludendo dall’equazione la nostra predisposizione all’apprendimento, la nostra capacità di comprendere gli errori che commettiamo, probabilmente non applicheremo all’errore l’atteggiamento mentale corretto per maturare, per crescere, e alla fine non impareremo davvero.
Chi di noi, infatti, non conosce qualcuno che nella vita, nelle relazioni o nel lavoro dà sempre la colpa agli altri e sembra non voler proprio ammettere e accettare di avere commesso qualche errore, e alla fine li ripete volta dopo volta senza crescere mai? Qualcuno che quando perde la considera sfiga, che quando qualcuno non compra il proprio prodotto è perché non l’ha capito, che quando non raggiunge un risultato ce la stava facendo, che quando investe nel modo sbagliato è stato fregato da qualcuno che ha tutta la colpa della propria sconfitta?
O a quanti di noi, talvolta, succede magari che qualche errore a noi stessi preferiremmo non ammetterlo, perché mina la nostra autostima, il nostro bisogno di sentirci solidi e forti?
Solo se si è in grado di imparare dai propri errori, dunque, il fallimento è positivo. Questo è possibile solo considerando propria e non di altri, non del contesto, non della sorte la responsabilità del fallimento, e applicando a noi stessi una predisposizione all’errore composta da una serie di atteggiamenti come umiltà, senso critico, onestà intellettuale, capacità di analisi, sicurezza in noi stessi, amore per crescere e voglia di capire davvero e di mettersi in discussione.
Non sempre e non tutti ne siamo capaci, ma tutti possiamo imparare a farlo lavorando all’interno per accumulare ed accrescere queste caratteristiche e modi mentali.
Sicuramente, se la narrazione smettesse di celebrare il fallimento in sé, per illuderci che in ogni caso tutto va bene, e iniziasse a celebrare invece la predisposizione umana corretta, l’atteggiamento mentale adeguato, saremmo tutti più in grado di imparare sì dalla sconfitta, ma a dirla tutta anche dalla vittoria.
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