Non c’è niente di meritocratico nella vita e va bene così
Sento spesso parlare di questo tema – la meritocrazia – e molto spesso ne sento parlare in questi termini: in quel posto, in questo ambito, in quella circostanza non c’è meritocrazia.
“Vanno sempre avanti i soliti raccomandati”, “bisogna stare simpatici al capo”, e via dicendo: la meritocrazia viene utilizzata come il dipinto fantastico di un mondo ideale (utopico) nel quale chi parla avrebbe raggiunto dei risultati maggiori nell’ambito del quale parla, e che si contrapporrebbe a questa realtà ingiusta, amara, disfunzionale di cui in qualche modo chi parla è vittima.
Ogni volta che ne sento parlare, mi rimane la sensazione che la meritocrazia sia una sorta di scusa, una giustificazione poco onesta sul piano intellettuale per non aver conseguito dei risultati.
Perché, per iniziare, nella vita non c’è niente che sia un merito reale: essere nati in un’area più o meno fortunata del mondo, in una famiglia più o meno colta, amorevole, ricca, connessa, con un viso più o meno bello ed un cervello più o meno performante, una personalità ed un carattere più interessanti o meno, niente di tutto questo è un merito ma tutto è accidente.
Ma, soprattutto, perché non esiste un arbitro universale del merito e quasi sempre, in qualche modo, si ha l’impressione che i propri meriti siano maggiori rispetto a quelli effettivi, o che qualcuno occupi un posto per mera fortuna, ma quasi mai è così sotto l’iceberg di quel percorso.
E, ancora, è evidente che nella vita in qualunque ambito si va più o meno avanti perché qualcuno, in una serie di passaggi, di momenti, ti conosce, ti scopre, ti trova meritevole o anche solo simpatico e decide di aprirti una porta e di aiutarti a fare un gradino.
Ma trovare, nel tempo, queste porte aperte e questi gradini è – nel senso più assoluto – il merito di chi sa dove vuole andare, conosce la strada, e va.