Mi capita di seguire alcuni ragazzi nelle loro tesi di laurea: mi rendo conto, ogni volta, di come siano così ancorati sui fatti, sulla ricerca, e così poco sui sogni. Compilano pagine e pagine di testo in cui parlano di cose già successe, di opinioni già dette da altri, e spesso, quando gli chiedo ma cosa vuoi dire tu? cosa pensi tu? qual è la teoria tua? mi guardano, si fermano pochi secondi come se nessuno prima avesse posto loro una domanda pericolosa come questa, poi riprendono a parlare senza interrogarsi realmente dentro.
Come è possibile, mi chiedo, che le scuole e le università non facciano sognare le persone, e le radichino in una sterile presa d’atto dei fatti del passato?
Una scuola che non insegna a farsi domande, e a dare risposte, magari anche sbagliate ma personali, è una scuola che purtroppo non prepara le persone per il mondo del lavoro contemporaneo, in cui tutti, nessuno escluso, dobbiamo avere un approccio da imprenditori, da innovatori, da costruttori del futuro, che è fatto di sogni, di desideri e di visioni più che di informazioni, che peraltro sono ampiamente disponibili.
Ripenso allora a quanto male andavo a scuola io, a quanto mi annoiavo, e a quella frase di Gary Vaynerchuk che una volta ha detto: io non ho fallito la scuola, è lei che ha fallito me. La scuola fallisce gli imprenditori ogni giorno, perché è costruita per formare lavoratori dipendenti.
C’è, allora, una discrepanza troppo grande tra il mondo della scuola, che negli ultimi decenni è cambiato troppo poco, e quello del lavoro, che solo nell’ultimo anno si è trasformato forse più che nell’intero secolo precedente.
Oggi più che mai l'immaginazione è più importante della conoscenza: questa frase non è mia, non è di oggi, ma è una vecchia citazione di un pazzo visionario rivoluzionario radicale intransigente morto 65 anni fa.
La conoscenza è limitata, l'immaginazione racchiude il mondo.
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Comunque non andavi male a scuola...andavi diversamente bene
Ciao Michele, leggendo il tuo articolo mi sono rivista in alcune frasi.
Per quanto mi riguarda, non tutti vengono stimolati, né a scuola né a casa, a fare domande e a chiedersi prima cosa sentiamo dentro, che cosa proviamo rispetto ad un tema specifico. Sappiamo tutta la teoria e poi caschiamo nella pratica, non sappiamo ascoltarci e andare nel nostro profondo io, né tantomeno siamo bravi nell'ascoltare l'altro.
Bravi e diligenti ragazzi a scuola, troppo ancorati al valore di un numero o di un aggettivo di valutazione, contenti i genitori ma con figli lontani dalle proprie emozioni.
A scuola e in famiglia, abbiamo bisogno di imparare a vivere con consapevolezza, assertività, accoglienza dei sentimenti senza nasconderli e reprimerli.
Non credo che tutta la responsabilità sia da imputare alla scuola, anche in famiglia va seminato un percorso di vita basata sulla persona.
Grazie per questo articolo!