Alcuni anni fa l’azienda che avevo fondato e gestivo ha attraversato un periodo di crisi, durato oltre un anno: non riuscivamo ad acquisire nuovi clienti da un po’, e anzi ne iniziavamo a perdere alcuni.
Tra quelli che mantenevamo, facevamo fatica a negoziare condizioni economiche favorevoli, e in alcuni casi i costi diretti da sostenere erano addirittura più alti dei ricavi: la cassa aziendale andava di conseguenza via via a svuotarsi, e insieme ad essa si spegnevano l’entusiasmo e la convinzione del team - da sempre l’unica vera risorsa di un’azienda come la nostra - che percepiva il perdurare delle difficoltà e non vedeva la luce in fondo al tunnel.
Era una sorta di effetto domino, in cui anche il minimo fallimento o la più piccola sconfitta determinavano delusione enorme e perdita di speranza e fiducia, poi, queste, nuovamente si ripercuotevano sui risultati.
Sia chiaro, non stiamo parlando di una multinazionale o di un’azienda con centinaia o migliaia di dipendenti, ma di una piccola azienda italiana nel campo della comunicazione, che allora, circa cinque anni fa, contava un team di cinquanta persone e un fatturato annuale di tre milioni.
Era, però, un’azienda che fino all’anno prima cresceva e raddoppiava anno su anno i ricavi, che viveva sull’onda dell’entusiasmo, della motivazione, del benessere e perché no del divertirsi facendo bene: vederla stagnare in uno stato di crisi energetica e sentirsi impotenti era qualcosa che difficilmente avrei previsto o immaginato solo pochi mesi prima.
A causare quella situazione era stata fondamentalmente una cosa: io non stavo bene.
A cosa questo malessere fosse dovuto, è una storia di cui parleremo, forse, una prossima volta. Sta di fatto, in ogni caso, che il mio malessere mi aveva portato a distrarmi dal quotidiano, e che distrarmi dal quotidiano aveva reso la mia visione del futuro e del nostro ruolo all’interno del mercato più opaca, meno lucida, meno convinta.
E in una fase di espansione come quella in cui eravamo, all’interno di un contesto in così rapido mutamento come quello nel quale operavamo e tuttora operiamo, non rinnovare la visione per un anno significa di fatto perderne cinque in risultati.
Penserai, forse, che una volta presa coscienza dello stato di crisi io mi sia rimboccato le maniche e, come un capitano vero, abbia preso in mano il timone e sfidato i mari, le onde, le correnti con coraggio, visione, determinazione e direzione sicura, fino a condurre la nave alla meta.
Mi piacerebbe raccontarti una storia come quella, ma la verità è che non è andata così, perché il mio malessere non era qualcosa che potesse scomparire schioccando le dita.
Per mesi, allora, nonostante le difficoltà mi sono concesso giornate e settimane di aria e di luce, e ho permesso al tempo di prendere quel tempo che sembrava non esserci, potendo però contare sulla presenza di un team fortissimo, e di cui avevo totale fiducia (grazie ancora).
Successivamente sono rientrato in azienda e ho ricominciato a dedicarmi al costruire le cose. Grazie ad una nuova energia, l’azienda si è poi rimessa a correre e a crescere anche più di prima, ma non dimentico quel periodo per le cose importanti che mi ha insegnato: sopra a tutto che la nostra salute, fisica e mentale, è più importante di quella delle nostre aziende.
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Quanto è vero Michele. E quanto purtroppo non ne teniamo conto! PS = Complimenti per il blog, ben scritto e molto stimolante.
Interessante stimolo! E aggiungerei che l'importanza della salute mentale ed emotiva spesso è sottostimata..
Ottimo blog.. Ci voleva