Alla base di molti libri, corsi e ideologie in ambito motivazionale c’è un concetto abbastanza diffuso che è quello secondo il quale, se vuoi raggiungere i tuoi obiettivi, devi fare fatica: un giorno le alzatacce la mattina e le sere a lavorare verranno ripagate dal raggiungimento di risultati sul piano materiale, psicologico, sentimentale, simbolico, e quel giorno starai meglio di oggi.
La fatica è dunque dei vincitori, e per vincere bisogna essere forti, duri, capaci di sacrificarsi oggi per stare meglio domani.
È, questa, un’idea ed un modo di intendere il percorso di vita che, personalmente, trovo leggermente arida. Posticipare la gioia e il piacere oggi non ci porterà infatti ad ottenerli un domani, perché, temo, saremo allora entrati in un atteggiamento mentale per il quale l’ideale è soffrire, affaticarsi, costantemente vivere sommersi tra impegni e scadenze e non invece godere del tempo, del momento.
Sia chiaro: sono un imprenditore, mi piace costruire progetti sopra alle visioni e ho l’abitudine di pormi sfide e obiettivi che, secondo i miei parametri, sottendono una certa ambizione e una certa dose, seppur limitata, di abnegazione.
Ogni anno, tutti gli anni, scrivo una lista delle cose che voglio realizzare: quelle tre, quattro, massimo cinque cose che sono per me importanti e sulle quali baserò i miei atteggiamenti e comportamenti dei giorni e dei mesi futuri con costanza, con determinazione, con disponibilità a dedicare il mio impegno e le mie energie.
Osservo ognuno di questi obiettivi da dentro, da fuori, per capire se davvero sia giusto per me, poi per ciascuna di queste mete elaboro una strategia: le attività che dovrò svolgere, i risultati intermedi per i quali dovrò passare e anche, perché no, le persone che dovrò incontrare e con cui sarà importante parlare.
Ma se i nostri obiettivi condizionano così tanto le nostre azioni, cosa condiziona i nostri obiettivi? Mi chiedo da dove essi nascano, come si formino al nostro interno, se siamo davvero noi a sceglierli o se invece siano loro, il più delle volte, a scegliere noi e arrivarci dentro.
Come facciamo a sapere se i nostri obiettivi siano davvero quelli corretti per noi, e ad essere sicuri che la nostra vita sarà migliore, e non peggiore, una volta che questi si saranno realizzati?
La risposta che ho deciso di darmi è all’opposto delle tesi motivazionali che prima citavo, per le quali lo sforzo e la sofferenza sono parte necessaria, integrante, virtuosa e valorosa del percorso verso il successo e la propria realizzazione.
Non che il percorso non debba o non possa essere faticoso, ci mancherebbe pensare il contrario, ma credo che la strada per raggiungere i nostri obiettivi dovrebbe soprattutto essere piacevole, gratificarci, accrescerci, e che quando così non è, invece, quando questa ci annoia, ci stressa, ci porta sofferenza, probabilmente è l’obiettivo ad essere sbagliato per noi, e allora, ritengo, è meglio lasciare che l’obiettivo ci abbandoni senza porre resistenze.
Impuntarsi a voler realizzare qualcosa quando quel processo ci stressa e non ci gratifica significa non ascoltare le nostre emozioni, sacrificarle alla “ragione”, ed è una delle cose peggiori che possiamo fare a noi stessi.
Se ti piace questo blog ti può piacere anche il mio libro: si chiama La tua idea non vale nulla ed è un po’ un manuale, un po’ una narrazione, un po’ una serie di consigli e punti di vista su come fare impresa e farlo bene.
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La fatica di oggi non ti porta al successo di domani
E' una linea sottile a far la differenza. Realizzare un obiettivo che ci sta a cuore e che ci appassiona non porterà mai alla sofferenza, nel senso stretto del termine. Impegno e dedizione si, ma le nostre azioni verranno condizionate in maniera positiva. Ciao Michele.