Italia: il paese peggiore nel customer care
Noi italiani siamo un popolo unico al mondo: artisti, intellettuali e inventori da sempre emergono dal nostro paese nonostante il contesto che da soli ci costruiamo attorno sia probabilmente il meno adatto per creare.
Siamo bravissimi a risolvere i problemi, ma quegli stessi problemi il più delle volte ce li creiamo da soli.
Siamo creativamente ed esecutivamente i migliori del mondo in fatto di prodotto, tant’è che il Made in Italy è ancora – anche se temo non più così a lungo – un brand che vende anche senza guardare il prodotto.
Nel servizio al cliente, però, siamo irrimediabilmente i peggiori.
Basta fare un giro al di fuori del nostro paese, covid permettendo, e andare magari in Marocco o in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Messico, per renderci conto che, da clienti, il servizio che riceviamo in termini di qualità, velocità e cortesia è qualcosa che all’interno dei nostri confini abbiamo visto raramente.
Sarà, probabilmente, perché in molti paesi c’è l’uso di dare la mancia, e per chi lavora questa è una componente integrativa importante del reddito, direttamente proporzionale alla soddisfazione di chi stanno servendo, o sarà che noi italiani siamo aperti, sorridenti e generosi sempre ma quando lavoriamo no, siamo incazzati.
E allora nei bar, nei negozi, al ristorante in Italia accade a volte di venire salutati distrattamente, di essere lasciati in attesa di servizio più a lungo del necessario, di ricevere risposte poco curate alle nostre richieste, come se la soddisfazione finale del cliente non fosse assolutamente un tema al quale prestare attenzione.
E, ancora, nelle scuole, nelle aziende private, per non parlare degli uffici pubblici, chi è a contatto con utenti e clienti si può permettere di fare arrivare le risposte tardi, male, e magari senza l’educazione di base.
Fortunatamente, con molte e belle eccezioni.
Penso allora che siano le nuove generazioni, quelle con la mentalità e l’atteggiamento più rivolto ad una scala internazionale, a poter fare avvenire il cambiamento e portare il nostro paese a standard di servizio e attenzione al cliente adeguati.
Penso che sia dalle scuole e dalle università che bisogna partire a rieducarci alla cura dell’altro, alle competenze relazionali, all’intelligenza emotiva.
E non si tratta di essere commerciali, di voler vendere, quella è tutta un’altra cosa.
Si tratta di lavorare e vivere con spirito di servizio, mettendo a disposizione degli altri non solo il nostro tempo, il nostro prodotto, ma anche e soprattutto il nostro sorriso.
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