Fare impresa può voler dire anche dover licenziare qualcuno
Licenziare non è l’obiettivo di nessun imprenditore, anzi, è un fallimento ogni volta che avviene: noi imprenditori infatti vogliamo il più delle volte assumere il maggior numero di persone possibile perché anche da questo passa la crescita delle nostre aziende e perché soprattutto è qualcosa che ci riempie di orgoglio.
Nel mio percorso, però, mi è capitato di prendere la decisione, difficile, di licenziare qualcuno, e in alcuni casi di farlo personalmente: il più delle volte non per questioni di sostenibilità aziendale e organizzativa ma perché queste non erano quelle adatte, per i motivi più disparati, per coprire la posizione nella quale erano sedute.
A volte poco efficaci nel raggiungere obiettivi importanti, a volte semplicemente troppo distanti da una cultura organizzativa e da un mood aziendale che per me, per quanto sia orrendo da dire, è sempre stato più importante rispetto all’interesse dei singoli qualora questi ne minassero le basi.
Chiaramente, per una realtà dalle dimensioni contenute come quella che ho guidato io, quella di licenziare è una decisione tutt’altro che semplice da prendere e un momento per niente facile da gestire sul piano emotivo e relazionale, che certe volte ti fa venire ripensamenti e sensi di colpa sia prima che dopo.
Ti trovi, infatti, a togliere una certezza non solo economica ma soprattutto sociale, psicologica, identitaria, ad una persona che conosci personalmente, magari da anni, e con cui a volte hai un rapporto positivo o hai instaurato una relazione che va oltre, anche, il mero aspetto professionale.
Personalmente, quello che ho sempre cercato di fare in quei casi, è creare un percorso nel quale la persona fosse messa di fronte al problema e avesse a disposizione degli strumenti e del tempo per risolverlo, e solo successivamente, nel caso peggiore, procedere a spiegare con dati oggettivi e un approccio al tempo stesso razionale ed empatico, in cui ascolto e comprensione fossero al centro, le ragioni ed i motivi per i quali quella decisione avveniva.
Ma se licenziare non è facile, sicuramente ancora più difficile è venire licenziati, e trovarsi in un tempo più o meno rapido di fronte ad un percorso nel quale è qualcun altro che ti sta conducendo.
In quei momenti, infatti, mi sono confrontato con le reazioni più diverse: chiusura o apertura, comprensione o rigidità, accettazione o difesa o attacco, persone che comprendono che si tratta di uno scarso adattamento ad un contesto specifico e altre che lo vivono come se fosse un fallimento totale, umano, profondo, che invece non è.
Devo dire che alcune delle persone che ancora oggi più di tutte stimo tra quelle con cui ho avuto l’opportunità di lavorare sono due che, in momenti diversi, di fronte ciascuno a questa situazione, hanno reagito capendo, mettendosi in discussione, mantenendosi empatici e non permettendo che quel momento, per quanto difficilissimo, nemmeno per un attimo rovinasse una relazione che poteva restare serena e positiva sul piano personale, e un rapporto di stima umana reciproca che non c’era realmente motivo scemasse.
In entrambi quei casi, non mi ha stupito per niente vedere che in pochissimo tempo avevano trovato qualcosa di più adatto per loro, in cui si sentivano meglio: più realizzati e più soddisfatti.
Queste persone, infatti, sono proprio quelle che non falliscono mai ma che a volte vincono e altre volte imparano, che ascoltano e chiedono agli altri e a se stessi dove hanno sbagliato per non farlo di nuovo: persone che crescono e che non danno agli altri la colpa per una situazione propria, persone che in definitiva, anche dagli scenari peggiori, riescono a emergere di nuovo, ancora più determinati, ancora più forti.