Qualche tempo fa una persona in azienda ha comunicato le sue dimissioni: pochi giorni dopo, è venuta a parlarmi.
Sono sereno quando qualcuno decide di uscire per trovare una nuova avventura: ogni azienda è una piattaforma di opportunità finite, limitate, e so che c’è un momento per entrare ed uno nel quale è meglio uscire per iniziare un percorso nuovo.
Sono anche consapevole che spesso è quello il momento in cui certe barriere che vi sono tra datore di lavoro e lavoratore decadono, e cerco dunque sempre di utilizzare quella nuova vibrazione per capire e indagare i problemi, non tanto personali ma generali, e per poter di conseguenza intervenire.
Spesso emergono tematiche di miglioramento effettivo, sulle quali ragiono. Altrettanto spesso, le persone lasciano l’azienda consapevoli che il percorso fatto internamente è stato una crescita positiva, e serene nell’iniziare adesso una strada nuova per crescere ancora.
Questa persona mi ha invece detto una cosa diversa: mi piace stare qui dentro, ma cambio lavoro perché non mi piace quello che faccio, e sono anni che vorrei lavorare in un reparto diverso dell’azienda.
Alla mia domanda: perché non l’hai detto prima? non è riuscita a rispondere.
Quando le ho detto che avremmo sicuramente dato spazio alle sue inclinazioni, se solo lo avessimo saputo, anche perché quel reparto era in una fase di crescita, ha capito cosa intendessi e si è accorta del fatto che, probabilmente, sarebbe bastato esprimere i suoi desideri per realizzarli ben prima.
Mi interrogo sempre su come creare un ambiente nel quale tutti si sentano liberi di esprimersi, senza filtri, e sono convinto che abilitare il capitale umano sia l’unico modo nel quale un’azienda possa crescere al meglio, e che sia questa una delle sfide principali degli imprenditori e dei CEO di oggi.
Altrettanto, mi chiedo cosa porti una persona a non alzare la mano, la testa, la voce, per esporre serenamente le proprie necessità, i propri desideri, le proprie aspirazioni, soprattutto se all’interno di un contesto nel quale queste vengono ascoltate.
È solo esprimendoli che i nostri desideri si realizzano: tenendo le nostre idee in un cassetto, le nostre passioni e inclinazioni nascoste, esse impiegheranno più tempo per realizzarsi, e a volte non lo faranno nemmeno.
Se anche tu hai qualcosa che senti di volere o di voler fare, dunque, che sia sul lavoro o in altri ambiti della tua vita esprimilo: il momento per diventare te stesso è oggi, non domani.
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Forse la persona – facendo del caso preso ad esempio un modello generale – per qualche ragione non percepisce disponibilità all'ascolto delle proprie necessità. Magari il "capo commessa" ha idee o modi che inibiscono l'esprimersi anche se il livello superiore del management è più disponibile all'ascolto.
Come dici la sfida della gestione del capitale umano è tra quelle più grandi che abbiamo, e che non potremo mai demandare a un software o ad un algoritmo.
L'orizzontalità della comunicazione, il sentirsi liberi di parlare, sbagliare, essere fraintesi per poi cercare di essere capiti sono tra i valori che più mi piacciono di certe realtà.
Talvolta è paura. In altri casi, invece, è il timore di non essere altezza del ruolo o delle possibili aspettative del CEO. La contraddizione è evidente, ma la paura non ne tiene conto e nemmeno noi.
Sul resto sono d'accordo.
Grazie per l'opportunità di leggere le tue riflessioni ed esperienze.