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È terminata la prima stagione di Taking the Mic, il podcast che quando qualcuno mi ha chiesto perché lo stessi facendo mi sono accorto che la risposta non c’era. Mi andava di farlo e così ho fatto, un po’ come per molti giocare a calcetto, ma senza farsi male ai ginocchi.
Diciassette ospiti avuti un mercoledì dopo l’altro, ma anche molte persone a cui ho chiesto di partecipare e che mi hanno detto di no, o che non hanno risposto. Uno, perfino, mi ha confermato la partecipazione dandomi appuntamento di lì a un mese, per poi il giorno stesso sparire e non farsi sentire mai più… spero stia bene, a giudicare dalle storie su Instagram mi sembra di sì.
Me l’avevano detto, in realtà, due podcaster più esperti: fare una trasmissione con gli ospiti è davvero un casino. Soprattutto se vuoi intervistare persone di un certo rilievo, devi essere pronto a ricevere molti rifiuti, spostamenti, ritardi: il tuo interesse ad averli è maggiore del loro nell’esserci e va bene così, fa parte del gioco. Per fortuna, nel mio mestiere di porte in faccia ne ho prese parecchie, per cui ho il muso bello gonfio e allenato.
Devo dire, comunque, che questa esperienza ha portato con sé le sue soddisfazioni, e i suoi insegnamenti.
Per quanto riguarda le prime: la qualità degli ospiti avuti e il livello delle interviste che ho fatto. Me lo dico da solo, ma in realtà me lo hanno detto anche altri (forse). Man mano che preparavo le mie interviste ho capito che il mio mantra nel farlo era questo: sarò l’intervistatore più preparato sugli ospiti che abbiano mai prima incontrato. Ci sono riuscito? Non credo, però mi è servito per guidare il lavoro che ho fatto su ognuno di loro.
Gli insegnamenti, infine, sono davvero moltissimi. Magari ci farò un altro post, che ho finito lo spazio.
Per ora ringrazio chi mi ha seguito fin qui, grazie, e ci vediamo con la stagione numero due!
Estate!